L’affondamento della “ROMA” nelle memore di tre giovani ufficiali soppravvissuti

L’affondamento della “ROMA” nelle memore di tre giovani ufficiali soppravvissuti

 

 

Dall’Armistizio , alla fine della Corazzata “ROMA”

La generazione che entrò  alla Regia Accademia Navale , nel momento in cui L’italia entrava in guerra era quella formata dai giovani  nati tra il 1921 e 1922, quella dei padri, per quelli ,come me nati nel 1950, o giù di li.

Forse ai più è noto che ogni corso dell’Accademia Navale, allo scadere del primo anno, nelle battute finali della prima crociera estiva sul Vespucci, si dà un nome. Quelli che entrarono in Accademia pochi mesi dopo l’inizio, per l’Italia, della seconda Guerra Mondiale, si vollero chiamare ” Squali“, perchè circa 40 membri del corso fecero domanda per diventare sommergibilisti. Fu uno dei corsi tra i più numerosi, che sfornò 249 ufficiali che, a causa delle necessità causate dalla guerra, uscirono  dall’Accademia il 31/3/1943,  con il grado di Aspiranti Guardiamarina, per essere destinati a bordo delle navi, dopo una breve licenza.

Il mio destino mi porto’ ad incrociare uno degli “squali” prima a scuola, alla fine degli anni ’60 ( Tullio Stravisi (4/4/1922-31/08/2003) , del corso Squali, fu il mio professore di navigazione e astronomia all’Istituto Nautico T.Savoia Duca di Genova, di Trieste) poi nella vita : mio suocero era Luciano Fontana (24/12/1921-4/5/2012), Ufficiale di Marina in SPE del corso Squali.  Quest’ultima circostanza, mi consentì di conoscere   molti dei suoi compagni di corso, sopratutto quelli che gravitavano a Milano: Augusto ( Nanni) Bottiglia, Antonio (Toni) Meneghini, Franco Aliverti e numerosi altri.

A sessant’anni dall’uscita dall’accademia Navale ,  nel 2003, i superstiti del corso Squali , hanno presentato il loro libro:”Gli Squali raccontano” non un libro di Storia, ma un libro di storie, quelle vissute da un gruppo di uomini che si trovarono insieme ad affrontare con l’entusiasmo e la spensieratezza della giovinezza, il più tragico periodo di una guerra che si avviava fatalmente alla sconfitta delle armi e ad un disastroso armistizio” (1).

Dei 14 Caduti  di quel corso , pochissimo tempo dopo l’imbarco , 8 morirono sulla nave da battaglia ” ROMA”, dove si trovavano imbarcati 14 del corso . Conobbi personalmente uno di loro: Antonio (Toni) Meneghini

Il racconto di Tony Meneghini

 

Antonio imbarcò sulla Roma il 15 aprile 1943 alla Spezia e su di essa prestò giuramento il 22 agosto, di fronte al Comandante C. V Adone Del Cima, assieme al folto gruppo di Squali che erano a bordo della bella nave. Egli apre I’ articolo “Così finì la Roma“, definendo la sua nave: ” Potente e velocissima, meravigliosa per armonia di forme ” e poi continua:

“Il mattino dell’otto settembre 1943, i Guardiamarina tornando a bordo da una delle solite esercitazioni notturne, appresero che la nave era pronta a muovere all’ordine.

Si sapeva che gli Alleati stavano sbarcando a Salerno e non vi era dubbio che si andasse finalmente “a bollire nel calderone”.

L ‘Aspirante di guardia in cifra aveva la sensazione che i messaggi che decifrava fossero immaginari racconti di sogni. Gli avvistamenti parlavano di centinaia di navi migliaia di aerei che sembrava spuntassero ovunque all’improvviso dal mare e dal cielo.

Ogni uomo a bordo aveva I ‘aspetto di colui  il quale, essendo da immemore e tormentoso tempo votato a morire, conosce alla fine la data del suo trapasso.

Una calma opaca, grave e silenziosa incombeva su tutti, dal serpante all’ Ammiraglio.

Tutti scrissero a casa l’ultimo messaggio e tutti scrissero le stesse bugie: “Tutto bene, “siate tranquilli, verremo presto in licenza “.

Solo i Guardiamarina, sentimentali e pazzi come tutti i guardiamarina del mondo, si riunirono nel loro quadratino per cantare l’inno del Corso e bere assieme l’ultima bottiglia.

Il Comandante in seconda Cableri, li aiutò come potè nella loro fiducia distribuendo giorni di arresti, a decine, senza economia, per persuaderli, poveri ragazzi, che avrebbero ben dovuto continuare a vivere per scontare – come il Regolamento prescrive – quella furia di punizioni piovuta sulle loro spalle.

La prima mensa della sera, fu alle diciotto. Segno evidente che subito dopo il tramonto le navi avrebbero preso il mare incontro alloro tragico destino. I marinai mangiarono un ottimo rancio. Ma, nei locali, sembrava all’Ufficiale di guardia che sedessero centinaia di muti.

Anche in quadrato ufficiali si mangiava tacendo. Dai portelloni aperti si vedevano le alture intorno rischiarate da un sole fragrante e si pensava che doveva essere bello poter stendersi ancora una volta .su uno di quei prati e sentirsi sotto, con la mano, la sicurezza secca e profonda di una buona terra.

Arrivò improvviso la la notizia dell’armistizio. Sussurrata da qualcuno, fu subito sulla bocca di tutti. Per un breve tratto fu come se un turbine travolgesse l’animo di ognuno.

Poche ,furono le grida di giubilo e molti volti erano rigati di lacrime.

Dalla costa la Milizia contraerea sparava traccianti in segno di giubilo e sottobordo passarono barche di operai festanti.

Sulla Roma il Comandante Del Cima disse, attraverso la rete ordini collettivi, poche parole………… Non vi furono commenti; forse ogni uomo era convinto di vivere un sogno, un brutto sogno, che la realtà del mattino avrebbe dissipato.

Quella sera, a bordo della Roma, pronta a muovere nella notte, ci fu cinema a poppa.

Credo che nessuno capisse cosa volessero quelle ombre che si agitavano sulla tela bianca, ma lo spettacolo ci fu ugualmente, perchè sul foglio di servizio giornaliero era scritto: “ore venti, guardia franca, proiezione cinematografica”.

Alle primissime ore del giorno nove, la Squadra al completo era già scivolata silenziosa ed oscura fuori dalle ostruzioni e navigava a ponente della Corsica, diretta alla Maddalena. La “navigazione in guerra ” procedeva regolarmente, con tutti gli uomini alloro posto. Gli incrociatori, usciti da Genova, raggiunsero le navi da battaglia che procedevano in linea di fila,

Il “ROMA” la mattina del 9/9/1943

e si posero ai loro lati su due colonne. A mattino inoltrato, un ricognitore inglese cominciò a ronzare bassissimo, attorno alla formazione. Sembrava, profilato all’orizzonte, un’enorme ciabatta stregata.

Si sentiva sicuro, tanto sicuro che, petulante, venne vicino, più di vicino di quanto lo consentisse la buona educazione e l’osservanza delle norme. Una salva dei 90 mm dell’Italia lo convinse a maggior discrezione.

Verso le 15, già prossimi alla Maddalena, l’ammiraglio Bergamini ,fu informato che quel porto era stato occupato dai tedeschi.

La decisione fu subitanea e rapida, furono alzate a riva le bandiere da segnali: le navi della lunga linea di fila passarono ad un tempo alla linea di fronte con manovra brillante, ordinata e precisa, come durante una esercitazione. Rimarrà sempre negli occhi di coloro che lo videro, lo spettacolo di quel fronte imponente di grosse navi che correvano parallele, sollevando alti baffoni di spuma e dando un ‘ultima visione di forza e di destrezza. Ad una seconda alzata di bandiere, le navi fecero un’ altra accostata ad un tempo che le portarono a navigare  su rotta opposta alla prima.

Improvviso, un avvistamento: “Aereo ore una, ore due, sito cinquanta “. La colonnina girò rapida e nell’oculare del binocolo, l’apparecchio pesante comparve come una grossa mosca noiosa “.

L’attacco tedesco

Dopo l’avvistamento del ricognitore, un primo gruppo di 11 bombardieri Dornier Do. 217 K-2 si alzarono in volo dall’aereoporto di Istres, sullo Stagno di Berre, a nord /ovest di Marsiglia quale prima di tre ondate, per un totale di 28 aerei. 

Ogni aereo portava una bomba radioguidata Ruhrstahl SD 1400  “Fritz X”, lunga più di 3 metri e pesante  oltre una tonnellata e mezza. Una nuova arma segreta  che sganciata da 7.000 m di quota raggiungeva la velocità di 1.200km/ora  riuscendo a perforare qualsiasi corazzatura. Questa missione  che era stata preparata per contrastare lo sbarco degli alleati a Salerno, ma ora veniva portata a temine con rancore verso l’ex alleato.

Dornier Do 217K2

” Vidi i primi aerei a circa 30° di rilevamento sulla dritta, ad una quota di m.5 000, con rotta da WNW. Prima che battesse l’allarme aereo vidi cadere la bomba di poppa all’Italia, che navigava di prora alla Roma che la rilevava per 40° (a dritta).

Alle 15,20 tutte le unità chiamarono il “posto di combattimento”, una decina di minuti dopo furono avvistati i primi 5 bomardieri

.”…… All’allarme erano presenti il S.T.V. Milani, il S.T.V. Codognola, i G.M. Guidotti, Tropea, De Crescenzio, Bernardi e Scotto, più il G.M. Brozzu, che però andò al suo posto di combattimento in plancia “. In un primo momento era stato dato ordine al personale delle SDT delle mitragliere di andare a ridosso nel torrione, sotto la plancia comando, poi il Comandante Giugni, i° DT; prima di entrare in plancia, gridò di far restare il personale al posto ed io mi recai in plancia segnali, a poppa via del torrione e feci tornare indietro il personale. Non era stato dato ordine alle mitragliere di far fuoco, perchè gli aerei, che volavano in gruppi di 4 o 5 alla volta, erano troppo alti “.

“La fumata che lanciò, sembrò ad un primo momento uno dei segnali dl riconoscimento, previsti dal codice aero-navale.

Fu questione di secondi, e solo quando una bomba enorme, che pareva animata da un fuoco demoniaco, si sprofondò urlando a pochi metri dalla poppa dell’Italia (I); ognuno finì di rendersi conto di essere sotto il tiro di una formazione aerea che usava un’arma mai prima d’ora adoperata.

La reazione fu immediata. La nave divampava da tutti i pezzi; anche le mitragliere il cui tiro non poteva essere diretto con sicura efficacia, data l’ alta quota degli attaccanti, sparavano rabbiose e senza tregua. Gli aerei tedeschi attaccavano isolati e da diverse direzioni. Miravano accurati e lanciavano i loro razzi enormi che scendevano, fulminei e quasi verticali, con la loro lugubre scia nera.

Una seconda bomba-razzo cadde di poppa all’Italia n(II), poi una di prora all’Eugenio di Savoia (III), poi una di poppa all’Attilio Regolo(IV), una al traverso del Vittorio Veneto (V),poi , dopo diversi minuti , altre due (VI e VII)sempre vicino al V.Veneto. poi fu la volta del ROMa a subire l’attacco di 4 aerei. Una prima bomba cadde in acqua in prossimità della poppa

sono le 15,46 del 9/09/1943, una prima bomba colpisce il Roma-acquerello di Sandro Feruglio Pittore di Marina

La seconda  raggiunse la nave al centro sulla dritta, devastò un paio di locali e scese nelle macchine perforò l’intero scafo andando ad esplodere sotto la carena. mancò temporaneamente la corrente e dopo una breve interruzione i cannoni antiaerei da 90 mm, ripresero il fuoco

Dalla deposizione:

“…..alla prima bomba che colpì la Roma il gabbione del radiotelemetro andò ad infilarsi nella canna di uno dei primi complessi da 90 di sinistra. Mi resi conto poi che le mitragliere, di cui dovevo dirigere il tiro, in conseguenza dello scoppio, non davano più segno di ricevere ordini nè per cuffia nè per clacson. Qualche mitragliera aperse il tiro a punteria diretta, particolarmente preciso mi parve quello delle mitra­gliere da 37 mm. della torre n.2 grosso calibro “.

Antonio continua:

“Chi non l’ ha provato, non può immaginare la sensazione di chi si trova su una nave quando questa viene colpita;.forse può rendersene conto colui che, in battaglia, ha avuto il cavallo ferito sotto di sè. Essa si contorce, si divincola al colpo; si può anche non crederci, ma urla di dolore, poi stringe i denti e si rigetta avanti, facendo appello ad ogni sua forza, ad ogni sua parte ancora sana. Per un miracolo del personale di macchina, la Roma continuò la sua navigazione.

una terza bomba cadde in acqua a sinistra della nave.

“Poi un altra fumata, un enorme dito rabbioso e nero, si sfilò dal cielo a cercarci. Scese, adunco e rapido, maligno ed intelligente, e colpì la nave, scoppiando in un deposito munizioni.

 

 

Un dolore acuto ai timpani e parve a tutti di sprofondare in sentina, e dalla sentina in un mare di fiamme, e da questo in un inferno ancor più caldo, dove lo zolfo ardente entrava nei polmoni afferrandoli e dilaniandoli.

Quando i pochi uomini, che lo poterono, si riebbero, la nave bruciava nel torrione corazzato incandescente, le riservette saltavano ed il vapore surriscaldato usciva a festa dai turboventilatori.

Le mani, cercando a tentoni la strada sulle paratie roventi, avvertivano il frizzare della pelle che bruciava, senza provare dolore alcuno. Spirando il vento da scirocco, l’unico posto praticabile era la poppa, dove si riunirono quanti poterono raggiungerla e furono trasportati quanti poterono essere trasportati “.

In quell’inferno Antonio si aggira stordito quando lo vede Ruri (Arturo Catalano Gonzaga (2)) che così descri­ve il drammatico incontro:

” Uno… venne verso di me, aveva il volto straziato dal fuoco e gli occhi immersi in uno strato di sangue. Chiedeva aiuto con una voce vagamente  familiare. Lo riconobbi: era il guardiamarina Meneghini. Una scheggia lo aveva quasi scotennato. Vidi la nuca in parte privata dalla cute, che gli pendeva appesa ad una sottile striscia di pelle, ed una parte della scatola cranica messa a nudo sporca di rosso coagulo. Provai a detergergli con il mio fazzoletto il sangue che gli copriva gli occhi rincuorandolo e ripetendogli <buttati! buttati!> “.

Antonio sarebbe sceso in mare, ma non prima di aver soccorso Michele Scotto (3) che – egli riferisce “…. trovai a poppa via della torre n.4 m.c., .svenuto e gravemente ustionato. Lo portai in coperta dove, fattolo rinvenire, gli tolsi le scarpe e alcuni indumenti: gli gonfiai quindi il salvagente. Quando l’ acqua sorpassò il trincarino, lo feci scendere in mare ed io pure lo seguii, senza peraltro riuscire a raggiungerlo, causa il molto sangue perduto e la mia poca abilità nel nuoto. Lo ritrovai .Sulla motolancia del Mitragliere quando il Sig. Costa si gettò a mare per recuperarmi”.

La Roma è ormai un relitto pieno di cadaveri:

” Un’ enorme .fessura tagliava la nave in due, proprio al centro, come se una scure gigantesca l’avesse colpita.

Le vedette sedevano arse nelle loro cupolette mobili. In plancia segnali i segnalatori ardevano vivi, tragiche torce umane. La nave sbandava rapida ed in pochi minuti tutti coloro che poterono farlo si gettarono o furono gettati a mare: La Roma era sola…………… In pochi minuti si capovolse e si spezzò ed i due tronconi si drizzarono enormi contro il cielo prima di affondare, rapidi e silenziosi, come succchiati da una sconosciuta potenza degli abissi, rinchiudendo in sè i corpi di circa milleseicento uomini, tra i migliori che avessero offerto il loro braccio alla Patria. Sul mare intorno, i pochi superstiti giravano .Sul dorso i loro corpi straziati per veder finire la nave, e quando l’ultima lamiera scomparve rapida, si alzò simultaneo, spontaneo, con una semplicità gloriosa e tragica il grido con il quale, allora, si usava andare al fuoco: <Viva l’Italia, Viva il Re> “.

 

A bordo del Mitragliere che lo aveva raccolto, Antonio ebbe le prime cure dal dottor Sala che ricucì la larga ferita della testa poi, quando la nave giunse a Minorca il mattino del 10 settembre, fu sbarcato con gli altri feriti all’Ospedale Militare. Egli rimase internato in Spagna fino al 10 luglio 1944 quando potè rimpatriare a Taranto con l’incrociatore Duca degli Abruzzi.

Il 22 luglio 1944 con l’ imbarco su]]a torpediniera Aretusa, Antonio riprendeva servizio sulle navi che avrebbe continuato fino al febbraio 1947 quando lasciò la Marina.

una terza bomba cade in acqua vicino alla poppa a sinistra mentre una quarta bomba si appresta a sferrare il colpo fatale – Sandro feruglio Pittore di Marina acquerello cm 18×26

 

L’agonia del “ROMA” Dopo la seconda bomba che  alle 15,52 colpì la corazzata nel deposito munizioni si ebbe la deflagrazione delle cariche della torre 2, un immane rogo avvolse la nave che alle 16,15 si spezzò in 2 tronconi e affondò

 

NOTE:

(1) Dalla prefazione di Alfredo Brauzzi alla nuova edizione del libro ” Gli Squali raccontano” Novembre 2004

 

(2) Anch’egli  , all’epoca,Guardiamarina del corso SQUALI ( 18/10/1921- 5/10/2000) ( cliccando sul nome si accede alla pagina Wikipedia)

(3) Michele Scotto, Corso SQUALI (28/5/1920- 9/03/1999) ( cliccando sul nome si accede alla pagina relativa dell’Associazione Regia Nave ROMA)

Bibbliografia:

“Gli squali raccontano” seconda edizione 2004- stampato in proprio. a cura di Alfredo Brauzzi

Domenico Carro “Corazzata ROMA – eccellenza e abnegazione per la patria.Ed. Cooperativa EUREKA. Roma 2011

Wikipedia: pagina su Arturo Catalano Gonzaga di Cirella

Sito internet :regianaveroma.org

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